Così lontano, così vicino

Così lontano, così vicino

Soverato era il sogno di una cosa. La libertà, il tuffo in quel mare di cristallo, il canotto arancione delle grandi imprese, la chitarra da suonare attorno al fuoco, la panchina del Miramare, la pesca con la lampara, la fuga notturna dalla mia camera d’albergo al primo piano, la gioia della vita. Accorgersi che al di là delle nebbie della mia adolescenza torinese, c’era altro, c’era il mondo, c’ero io. Domani nella Sala Consiliare del Comune di Soverato, però, racconterò i primi lavori, quando non sapevo che scattare fotografie, raccogliere canti dalla bocca di zia Caterina potesse diventare una competenza antropologica, un mestiere. Andare lontano, gli incontri di trent’anni da fotoreporter, l’India dell’ayurveda, l’Amazzonia dei maghi verdi, l’Africa dei voduns, la Bahia di Jorge Amado e Caetano Veloso, dei riti lustrali di Persefoni afro-brasiliane. E quella Calabria che mi ha richiamata. Abitare qui. Una rampa di lancio per nuove avventure. Guardare lontano. Come dagli scogli di Caminia.

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