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Duecentocinquantamila scatti. Sono più o meno quelli con i quali il fotografo Franco Pinna ha testimoniato gli anni che vanno dal ’52 al ’78. Con slancio militante, con la certezza che la fotografia fosse uno strumento necessario per cambiare il mondo, riprese con lo stesso trasporto, le tante facce dell’Italia in trasformazione. L’universo remoto delle sue origini sarde, l’orizzonte magico-religioso del profondo Sud, nel pionieristico rilevamento sul campo promosso da Ernesto De Martino dal quale scaturirono opere come “Sud e Magia”, “La terra del rimorso”. La fotografia d’assalto, quando si tuffava nei cortei di protesta, per poi correre a casa a sviluppare e ad aspettare che dalle vaschette di acido acetico, apparissero le bandiere, le facce dei manifestanti, le cariche della polizia di Scelba. E poi il mondo dello spettacolo, il cinema, le prime foto a Claudia Cardinale, Anna Magnani, Giulietta Masina, le sue celebri immagini dei set di Federico Fellini. E le foto d’attualità, il viaggio, il mondo che cambia, le borgate romane, con i loro sottomondi di margine, le prostitute del Mandrione, i maghi di periferia. Il suo apparecchio fotografico sapeva infilarsi nelle fenditure tra una realtà preindustriale sul punto di scomparire e la sua fagocitazione nella nuova dimensione metropolitana. Pescava, catturava, insieme alla miseria materiale, anche la vitalità commovente di quei corpi, sguardi, gesti, espressioni di un senso della dignità e della bellezza ancora sorgiva e pura, al quale la “nuova” società avrebbe rinunciato. Da fotografa, mi sono senpre riconosciuta in quell’attitudine militante di Franco Pinna. Fare le foto negli anni settanta, quando ho cominciato io, sgnificava inquadrare una propria visione estetica, ma anche prendere posizione, riportare il proprio punto di vista sul mondo, comunicare. Ha fatto clic almeno duecentocinquantamila volte e i suoi magnifici scatti raccontano anche la nostra storia, raccolta per le strade, nelle osterie, al capezzale della tarantata Maria di Nardò, ai piedi della fattucchiera di Colobraro, tra le bandiere della protesta, sotto i riflettori di Fellini, nelle miniere del Sulcis e in tutti gli altri posti del mondo dove si spinse a cercare la verità.