«Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente.» Affermò nell’arringa in difesa degli stupratori, l’avvocato Giorgio Zeppieri, ripreso dalle telecamere che per la prima volta entravano nell’aula di un tribunale. Era il 1978, il processo fu immortalato nel documentario “Processo per stupro” che per la prima volta metteva a fuoco nitidamente come nel dibattimento, il «disonore» passasse dai violentatori alla vittima, tanto che l’avvocata della diciannovenne violentata, Lagostena Bassi, sentì la necessità di ricordare alla corte il suo ruolo di accusatrice degli imputati e non di difensore della parte lesa. Erano anni in cui affermazioni come quelle deflagravano in una società reattiva, nella quale una grande massa di donne reagiva anche con il proprio corpo in piazza, con manifestazioni, fiaccolate, cortei. Le odierne boutades di inopportuni personaggi pubblici che sarebbero quantomeno chiamati a studiare i fenomeni prima di esprimere opinioni imbarazzanti, riportano alla mente quei fatti. E spingono fuori dal mio archivio fotografie che scattai negli anni Settanta di quelle donne spavalde, acute, forti, spiritose, belle, che, demolivano luoghi comuni, liquidavano divieti, polverizzavano modelli anche mascherandosi, detonavano caminetti, conquistavano spazi, riterritorializzavano città, con l’intento di bonificare persino luoghi correzionali un tempo abitati da “prigioniere innocenti”, come il manicomio femminile di via Giulio a Torino. Ripensando anche a Franco Basaglia psichiatra che ha restituito dignità e diritti ai fragili detenuti, morto il 29 agosto del 1980, ripropongo l’ascolto di questo racconto pieno di suoni e voci di quegli anni, spunti di riflessione che, chissà, potrebbero gettare qualche luce sull’abisso, qualche spunto utile sulla rotta da percorrere, lontanissimo dal caminetto o presso di esso, come ognuna e ognuno vorrà.
Presso il caminetto!
