I Bronzi di Riace

I Bronzi di Riace

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Il caldo, l’azzurro, lo stupore, il tumulto sulla spiaggia di Riace, le fotografie con una delle statue in piedi sul bagnasciuga, come con un parente inatteso che arriva dall’America. Cinque anni di restauro all’Opificio delle Pietre Dure, ed ero già a Firenze, a fare la fila. Ci fu chi svenne, vedendoli. Per la bellezza delle forme, per lo sguardo, per la bocca socchiusa e sorridente, labbra di rame, denti d’argento, per i riccioli, per la pacatezza di guerrieri disarmati nella loro completa nudità. Perché venivano dal fondo del mare, dove erano stati ad aspettare forse duemila anni, dalle profondità della storia, perché arrivavano a noi “per caso”, come un prodigio dimenticato, perché la loro origine è ancora un mistero. Tutto questo li avvolgeva in un’aura sacrale, irradiante, che catturava chi entrava nel loro raggio d’azione. Attratte da un inspiegabile richiamo, masse di visitatori, impiegati, signore con borse della spesa, studenti, padri di famiglia, anche persona che non si erano mai avvicinate a un museo, si affollavano all’entrata del Museo Archeologico di Firenze, dal dicembre al giugno del 1980. Nessuna pubblicità, nessun super-servizio televisivo, o ologramma, nessun libro o brochure, a parte qualche trafiletto sulla stampa e un foglietto in bianco e nero senza fotografie che illustrava le tecniche del restauro. Non era mai successo. Nasceva un mito sovra-culturale capace di catturare chiunque. Come si capisce dall’uso smodato che se ne è fatto e che se ne fa, che li fa rientrare nella black list dei terribili souvenir di viaggio, tra la gondola e la Torre Eiffel, cosa che però, come nel caso dei due oggetti citati, non riesce a scalfirne l’essenza. Succede alle grandi icone pop. Dalla pubblicità della ‘nduja, alla copertina del fumetto semi-porno, alla pizzeria, fino alle copie calate in mare in Versilia per ripescarle forse tra duemila anni e vedere l’effetto che fa. Un sovraffollamento di Bronzi chiamati a rappresentare arbitrarie identità: infatti passavano di qui “per caso”, quando presumibilmente una tempesta costrinse l’equipaggio a liberarsene (non si sono ritrovati relitti di naufragio). Forti dubbi anche sul ritrovamento, dove sono gli scudi, le lance, gli elmi, la terza statua denunciata dal sub Mariottini, lui stesso scomparso dalle cronache, sono in America nel caveau di un mafioso, sostiene qualcuno, erano cinque ed erano biondi!, sostiene qualcun’altro, mentre altri seri studiosi cercano di individuare la mano che trasformò in statue un ideale di bellezza. Tutte piccole vicende umane, così lontane dai territori del sacro ai quali queste opere appartengono. Come scrisse l’antropologo calabrese Luigi Lombardi Satriani, scomparso il 30 maggio scorso, nel suo libro “Gli eroi venuti dal mare”, nel quale si legge che la comunità di Riace riconobbe nei Bronzi una manifestazione dei Santi patroni Cosimo e Damiano che passano in processione a pochi metri dal ritrovamento, e di come i genitori in visita al Museo Archeologico di Reggio innalzassero i bambini alle statue dei Bronzi come si usa con quelle dei santi: “Attraverso i bambini volevano sentire le statue, gesto che equivarrebbe a metterli sotto la protezione divina – scrive Lombardi Satriani – Come se vicino ai Bronzi di Riace si fosse con il divino, quindi si fosse nel divino, per certi versi, si fosse il divino.” Tutti svenuti.

La fotografia scattata alle Scuderie del Quirinale nel 1981 è di Mimmo Frassinetti.

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