Ci abitò Giulio Carlo Argan perché suo padre ne era l’economo, e ci lasciò scritti illuminanti su quel luogo di contenzione in cui venivano rinchiuse donne giudicate pazze: era il Regio Manicomio Femminile di via Giulio 22 a Torino. Considerato un complesso architettonico esemplare per l’epoca, rinchiudeva donne che dalle schedature ritrovate risultavano scomode, d’intralcio per questioni di eredità, povere, orfane, depresse o ribelli. Elettroshock, bagni gelati, e psicofarmaci sperimentali erano la cura, disperazione e autolesionismo, le conseguenze: una di esse s’incendiò le vesti sotto gli occhi dell’adolescente Argan. Anni di maltrattamenti e degrado fino alla chiusura e all’abbandono nel 1973. Altre donne, centinaia di giovani donne, il 24 marzo del 1979, ruppero a martellate i lucchetti dell’ex manicomio e occuparono gli immensi spazi per trasformare quel luogo di dolore in uno spazio di libertà e consapevolezza, trasformandolo nella prima “Casa della donna” della città. “Infiammate” da un contagioso desiderio di giustizia, quelle ragazze si trovarono insieme nei saloni immensi, entrarono nelle celle, aprirono armadi che contenevano i camicioni di forza, pulirono e dipinsero quelle pareti, conquistarono e cambiarono di segno l’ex manicomio femminile, dando vita a inedite esperienze solidali, protagoniste di importanti conquiste. Altri tempi. Se c’è un’apposita giornata per dire no alla violenza contro le donne. Violenza che c’era anche allora, ma suscitava una risposta corale. Ascoltate la storia di quei tempi, di quella gloriosa occupazione, di quell’intento di cambiare, di quando entrammo nel grande salone del manicomio e per mano urlammo con mille voci un promemoria ancora valido. La liberazione non è un’utopia, donna gridalo: io sono MIA!
L’occupazione dell’ex manicomio femminile di Torino
