Quest’anno il tema del mio corso di antropologia all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria è stato il viaggio: “L’esperienza dell’altrove: viaggi, sconfinamenti, spostamenti e migrazioni”. Un tema di grande interesse per le mie studentesse e i miei studenti, che non conoscevano l’antropologia. Tra i documenti che abbiamo studiato anche il ciclo di programmi radiofonici che ho curato per Radio 3 Wikiradio dal titolo “Esploratrici”. È vero le ragazze vengono qui a Reggio Calabria a studiare, la maggioranza da altri paesi e dalla Sicilia, si spostano, viaggiano. Ma molte di loro affrontano difficoltà simili a quelle delle colleghe viaggiatrici di fine Ottocento. Famiglie restrittive, paura a muoversi da sole, steccati sociali, in qualche caso, attacchi di panico in stazione. Un tema scottante tra paura e disperato bisogno di volare. Un’occasione d’oro per me e per loro. Ora gli esami nei quali tiar fuori chi sono, come hanno fatto a lezione, il viaggio viene declinato, antropologizzato, visto nella sua funzione salvifica, come minaccia, speranza, fuga, altro da noi. Chi si occupa del sogno come viaggio in un’altra dimensione, chi di viaggi che potremmo definire “di sconfinamento”, dal tarantismo, a Carlos Castaneda, dal candomblé di Bahia al volo sciamanico amazzonico, chi del viaggio- pellegrinaggio, come quello della Madonna di Polsi o quello di Santiago de Compostela, chi del viaggio temporale che si effettua partecipando a riti apotropaici locali, divinazioni di San Giovanni o sdocchiamenti, chi del viaggio appena fatto con lo zio nei paesi arabi da comparare con le esperienze delle grandi viaggiatrici del deserto da Isabelle Ebrhardt a Gertrude Bell, chi di una viaggiatrice del pensiero come Meri Lao, chi, sul punto di implodere, di discriminazioni di genere e di viaggiatrici come fossero mine vaganti. Una meraviglia!
E poi c’è il viaggio che faccio io, da Soverato a Reggio con le ultime littorine, dove, qualche straniero cerca la presa per caricare il telefono, mentre i locali ridono sotto i baffi, con il mare e il “non finito calabrese” da una parte, rovine in costruzione quasi ingoiate da agavi e fichi d’india, e la montagna, calanchi, pinnacoli dall’altra, fino all’apparizione dell’Etna che svetta prodigioso e sempre a sorpresa dall’altrove marino. Come tutta questa giovane umanità affiorante, che a bordo di treni, navi, corriere, autobus, si muove per arrivare all’antropologia.
