Percorsi sconsciuti

Percorsi sconsciuti

Meraviglie inattese dell’odiata DAD

In presenza non sarei mai riuscita a svegliare gli studenti con il canto degli Xavantes che registrai all’alba in Mato Grosso, a portarli nella camera della tarantata Maria di Nardò stando nella loro, a festeggiare il 2 di febbraio con le immagini della Sirena di Bahia sul loro schermo, a fargli vedere da così vicino i tagli ancora freschi sul viso dell’iniziata di Ouidah. Non avrei potuto farli parlare con Tito Rosemberg e Shirley Krenak, uno tra le dune di Rio Grande do Norte, l’altra dal villaggio di Resplendor, Stato di Minas Gerais. E poi con Ester Coen della sua mostra “Mito e incanto”, con Domenico De Masi di smart working ante litteram. Mai in presenza avremmo fatto un appello così circostanziato, personale, condiviso, pronunciando il proprio nome, il nome del luogo dal quale arrivava quella voce, raccontando qualcosa di sé per poi passare a riflessioni personali sugli argomenti del corso, ogni giorno, con l’attenzione di tutti a quel giro di voci, al corpo assente di quelle voci. Un rito di apertura indispensabile per non perdersi nell’etere, legame, àncora, chiave, strumento che ha propiziato la solidità di questo gruppo, la trasformazione di queste persone in “soci”, in societas che ha uno scopo comune. Per far questo ho dovuto cambiare tutto, imparare, mostrarmi apprendista, rendere l’insegnamento più performatico, sfruttandone tutte le potenzialità multimediali, ma anche più “vicino” agli studenti che mi vedono a un palmo dal loro naso, in una intimità mai provata prima, fatta anche di copertine sulle ginocchia e tazze di tè, ma soprattutto di concentrazione, partecipazione, complicità, persino di inaspettate confidenze, di confessioni pubbliche che partendo dagli argomenti del corso facevano dell’antropologia, dei “riti di passaggio in tempo di pandemia” argomento del corso, materia viva, vivente. Per questo ringrazio tutti i partecipanti, studentesse e studenti dell’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, ora già impegnati nelle loro personali ricerche, per la capacità dimostrata di trasformare “l’amaro in dolce”, la difficoltà in regalo e per aver accettato di seguirmi lungo percorsi sconosciuti.

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